KEPLER 452




Lapsus urbano

Rimozione forzata Bolognina





Ideazione Kepler-452 (Enrico Baraldi e Nicola Borghesi)
regia Enrico Baraldi
drammaturgia Riccardo Tabilio, Enrico Baraldi, Nicola Borghesi
sound design Alberto Bebo Guidetti (Lo Stato Sociale)
Progetto vincitore di Incredibol! Quinta edizione
Premio Speciale Fondazione del Monte Bologna e Ravenna



In Lapsus Urbano un gruppo di spettatori viene condotto per mezzo di audioguide in un percorso a piedi attraverso il tessuto periferico di una città. Una colonna sonora per un viaggio nel quale osservare e relazionarsi con il paesaggio urbano, tentando di restituire ad esso un nuovo significato, mostrando ciò che della città è invisibile o è stato rimosso. Sfruttando la fantasia del pubblico come scenografia, dati reali e immaginari si incrociano in un percorso in cui essere continuamente sfidati a trovare il limite della propria capacità di stupirsi attraverso la relazione con luoghi inusuali e non frequentati dallo sguardo di un pubblico. Quanto conosci questo quartiere? Come immagini le biografie delle persone che vivono qui? Abiti in un quartiere del centro o in periferia? Questo quartiere è diverso da quello in cui vivi? In che modo? Come sarà questo quartiere tra dieci anni? E tra cento? Come saranno le persone che vi abitano? Saranno diverse o simili alle persone che abiteranno nel tuo quartiere? Cosa significa “abitare”?









Lapsus urbano.
Dissenso unico





Ideazione Kepler-452 (Enrico Baraldi e Nicola Borghesi)
Regia Enrico Baraldi
Drammaturgia Riccardo Tabilio, Enrico Baraldi, Nicola Borghesi
Sound Design Alberto Bebo Guidetti (Lo Stato Sociale)
Voce Nicola Borghesi
Organizzazione Michela Buscema

Progetto sostenuto dal Comune di Bologna
Nell'ambito di Bologna Estate 2018
Si ringrazia per la collaborazione: Università di Bologna , Bub – Biblioteca Universitaria di Bologna, Museo di Palazzo Poggi - Sistema Museale di Ateneo, Fondazione Teatro Comunale di Bologna,ERT – Emilia Romagna Teatro, Associazione Giardino del Guasto.

Alcuni contributi audio e parte delle interviste sono state realizzate da Massimo Carozzi e dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna nell'ambito del progetto Zona U





Dopo la prima edizione nel quartiere della Bolognina torna ad abitare le strade di Bologna Lapsus Urbano - Dissenso Unico, uno spettacolo itinerante della compagnia teatrale Kepler-452.
In Lapsus Urbano un gruppo di spettatori viene condotto per mezzo di audioguide in un percorso a piedi attraverso la zona universitaria di Bologna. Una colonna sonora per un viaggio nel quale osservare e relazionarsi con il paesaggio urbano, tentando di restituire ad esso un nuovo significato, mostrando ciò che della città è invisibile o è costantemente rimosso.









LAPSUS URBANO
IL PRIMO GIORNO POSSIBILE







un progetto di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi, Riccardo Tabiliocoordinamento Roberta Gabriele
supervisione musicale Bebo Guidetti
a cura di Agorà / Liberty / Kepler-452












Lapsus Urbano - Il primo giorno possibile è una performance concepita nei giorni in cui il  «fuori» sembrava un luogo lontano e utopico, nel momento più cupo delle restrizioni alla  mobilità, alla socialità e al lavoro, quando la routine delle nostre vite veniva squassata e  ribaltata dalle fondamenta, e quando il teatro – con i suoi cicli e le sue produzioni – si trovava  da un giorno all’altro polverizzato. Programmatico fin nel titolo, Il primo giorno possibile ha la  forma di una lettera dal passato per il «giorno zero» del futuro: il pubblico si ritroverà insieme  in uno spazio urbano, aperto, il primo giorno in cui le normative lo permetteranno, ed ascolterà  in cuffia un messaggio «in bottiglia» destinato alla società futura. Gli spettatori, interpellati  attivamente dalle voci del passato, saranno chiamati a misurare il loro presente con il futuro  utopico immaginato dagli autori; a reagire alle domande poste nelle cuffie, a guardarsi in faccia,  a contarsi, a prendere posizione o a emozionarsi di fronte all’evocazione del mondo utopico  del dopo epidemia.

Il primo giorno possibile approfondisce la ricerca sulla società, sulla comunità e sulla  partecipazione che contraddistingue il percorso artistico di Kepler-452, proponendosi di  osservare e raccontare quello che sta succedendo intorno a noi e a noi in quanto esseri umani,  in questa inaudita contingenza storica, e di evocare quello che succederà. Cosa vuol dire  «incontrarsi» e fare teatro in tempi di distanziamento sociale? – si chiede la compagnia. Se  davvero «la normalità era il problema» sarà possibile inventare una nuova normalità? È  possibile, dalla manciata di metri quadri in cui sono costrette oggi le nostre vite, immaginare  la società futura?

Pensato per un gruppo di quaranta spettatori, Lapsus Urbano. Il primo giorno possibile è  un tentativo di raccontare e custodire la memoria del presente attraverso la lente di un  momento storico di isolamento e privazione che richiede di essere riconosciuto come  momento collettivo, uno spettacolo audioguidato che desidera ribaltare il concetto di  ripartenza a qualunque costo, non rimuovendo il problema delle mascherine e del distanziamento tra spettatori ma assumendolo anzi come dato fondante della drammaturgia  e dell’azione scenica.

Nato dal dialogo con la Stagione Agorà diretta da Elena Di Gioia, Lapsus Urbano. Il primo  giorno possibile è anche una strategia di azione teatrale che si innesta nel dibattito sulle  modalità del teatro possibile in tempi di emergenza sanitaria (e di ripresa dall’emergenza): la  risposta di Kepler-452 a una questione con cui tutto lo spettacolo dal vivo sta facendo i conti.







04.

ARCHIVIO





lapsus urbano





F.
Perdere le cose






scritto da Kepler-452 (Paola Aiello, Enrico Baraldi, Nicola Borghesi)
regia Nicola Borghesi
dramaturg Enrico Baraldi
in scena Tamara Balducci, Nicola Borghesi e, da qualche parte, F.
luci Vincent Longuemare
spazio Vincent Longuemare e Letizia Calori
costumi Letizia Calori
video Chiara Caliò
musiche Bebo Guidetti
suono Alberto Irrera
assistente alla regia Michela Buscema








F. è una storia che nasce da un incontro avvenuto ai margini del tessuto urbano, là dove tende a sfrangiarsi, a farsi rarefatto e oscuro, in un dormitorio per senzatetto con problemi sanitari. Un incontro, quello con F., affascinante, perturbante, difficilmente raccontabile. “F. non può entrare in scena con noi, ma è il protagonista dello spettacolo, il centro del dramma. F. lo abbiamo conosciuto un giorno che ci ha avvicinato e ci ha detto: io sono io.
Da quel giorno abbiamo cominciato a provare insieme uno spettacolo che parlasse di lui, della sua storia, di chi è, del perché lui è lui. Insieme abbiamo ricordato, siamo incappati in buchi neri, pezzi rimossi, strappati, aperture vertiginose sull’abisso. Da quel giorno i confini dello spazio teatrale non sono stati più gli stessi.
Ci sono delle leggi per le quali F. è tenuto lontano dal palcoscenico e noi non possiamo farci niente. Tutto ciò che possiamo fare è trascorrere del tempo con lui, ascoltare, costruire, lasciarci andare all’incontro e tentare poi di raccontare che cosa significhi per noi la sua assenza. Proprio perché non è da nessuna parte F. è ovunque. Siamo quindi di fronte ad un’assenza enormemente ingombrante, che non potevamo non portare in scena.
Abbiamo quindi cominciato a domandarci: come si porta in scena un assente? Perché F. ci è tenuto lontano? Cosa dobbiamo temere da lui? È pericoloso? Come può entrare in scena senza salire sul palco? Che cosa, di lui, ci riguarda?
F. è uno spettacolo che parla della ostinata volontà di incontrare qualcuno che è difficilissimo incontrare, di un enorme smarrimento, del confine tra palco e platea, tra ciò che è legale e ciò che non lo è.
F. è, dopo “Il giardino dei ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso”, una seconda foto sfocata scattata lungo la Via Emilia.
F. è la domanda difficilissima: cosa è giusto fare in questo momento?
F. è soprattutto F.






Consegne. Una performance da coprifuoco






a cura di Kepler-452
un progetto di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi, Riccardo Tabilio
con Nicola Borghesi
coordinamento Michela Buscema
foto Davide Spina
grafiche e audio Riccardo Tabilio







Un corriere si sposta nella città, per effettuare la sua consegna.
Porta un pacco da un punto A, a un punto B, dal punto di partenza all’indirizzo di consegna. Sulle spalle ha un cubo colorato, degli stessi colori della sua uniforme, la sua livrea di corriere corridore adatta al vento e alla pioggia, adatta ad attraversare il coprifuoco. Che cosa consegna? Un prodotto, e un percorso-performance site specific sulla piattaforma Zoom per uno spettatore – o per più spettatori che abitano allo stesso indirizzo – nella città di Bologna. Consegne è uno spettacolo nato dallo sconforto di questa nuova chiusura dei teatri; pensato per la notte più desolata mai conosciuta da molti anni: quella del cosiddetto «coprifuoco». Abbiamo pensato a quali attività possono continuare a esistere in questo contesto fosco, doloroso, angosciante e la figura che si è immediatamente formata nella nostra immaginazione è quella del corriere, del rider. Quelli che non hanno smesso mai di lavorare, nemmeno nella fase più dura del lockdown. Abbiamo dunque pensato di far travestire un attore da rider, o meglio, di farlo diventare a tutti gli effetti un rider. E di effettuare delle consegne. Quella tra rider e destinatario è la relazione più impersonale e distaccata che si possa immaginare, e questo è il motivo per cui può resistere ad ogni chiusura. Abbiamo pensato di impiegarla e di forzarla dall’interno, per costruire un rapporto di intimità, esclusività, confidenza. Per tutta la durata del viaggio attraverso la città deserta, il corriere sarà collegato col destinatario della sua consegna, offrendo una prospettiva sul vuoto urbano altrimenti impossibile. Fino all’inevitabile suono del campanello. In un momento in cui imperversa la riflessione su quali attività siano essenziali e quali non lo siano, abbiamo desiderato domandarci che cosa sia essenziale per noi e cosa possa esserlo per gli spettatori, attraverso una domanda molto concreta: che cosa ti piacerebbe ricevere a casa tua, in questo momento? E poi, ancora, altre domande, da rivolgerci a vicenda nella notte deserta del coprifuoco: che effetto ti fa sentire il campanello che suona? Cosa ti aspetti? La meraviglia, una scocciatura, una visita inattesa, un regalo, la Gestapo, la pizza? Prima eri meno solo di così? Perché la gente usciva, la sera? Perché questo secondo lockdown è così più terribile e disperato del primo? Che fine hanno fatto gli striscioni che dicevano «andrà tutto bene»? Che cosa ci resta da fare, adesso? Consegne è un’azione artistica corsara, assurda, economicamente insostenibile. Consegne è un incontro improbabile in un momento impensabile tra un attore travestito da rider e uno spettatore travestito da destinatario che tentano ostinatamente di capirsi in una città deserta e buia.





Il giardino dei ciliegi.
Trent’anni di felicità in comodato d’uso






Ideazione e drammaturgia Kepler-452 regia Nicola Borghesi con Annalisa e Giuliano Bianchi, Paola Aiello, Nicola Borghesi, Lodovico Guenzi
regista assistente Enrico Baraldi
assistente alla regia Michela Buscema
luci Vincent Longuemare
suoni Alberto "Bebo" Guidetti
scene e costumi Letizia Calori
video Chiara Caliò

produzione ERT Emilia Romagna Teatro

Si ringraziano per l’ospitalità e la disponibilità ATER Circuito Multidisciplinare, Teatro Comunale Laura Betti e Teatro dell’Argine

foto di Luca Del Pia

Il testo dello spettacolo è pubblicato nella collana Linea di ERT Fondazione e Luca Sossella Editore.

Per entrare nel mondo de Il giardino dei ciliegi scaricate il  QUADERNO DI SALA on-line… con curiosità, approfondimenti, note di regia e immagini!

Durata: 1 ora e 40 minuti










Premio Rete Critica 2018, Il giardino dei ciliegi ha debuttato al Teatro Arena del Sole a Bologna nello stesso anno. Lo spettacolo nasce dall’incontro tra i componenti di Kepler-452 (Nicola Borghesi, Paola Aiello ed Enrico Baraldi) con due personaggi “immaginari” realmente esistenti, Giuliano e Annalisa Bianchi, ossia Ljuba e Gaev. Nel dramma Anton Čhecov immagina che in un anno non definito di fine Ottocento il giardino dei ciliegi di Ljuba e Gaev, proprietari terrieri nella Russia prerivoluzionaria, vada all’asta per debiti insieme alla loro casa. Ad acquistarlo è Lopachin, ex-servo della gleba arricchitosi dopo la fine della schiavitù, rampante rappresentante della borghesia in ascesa. Il centro del dramma è la scomparsa di un luogo magico, profondamente impregnato delle vite di chi lo abita, che in questa rilettura dell’opera di Čechov diventa il luogo della coppia.

Nicola, Paola ed Enrico hanno cominciato così, come sono soliti fare, a sbirciare nelle pieghe della loro città, Bologna, alla ricerca del loro Giardino dei ciliegi.

«Tra i moltissimi incontri che abbiamo fatto nel corso della nostra indagine – racconta la compagnia − ce ne è stato uno che ha cambiato definitivamente il corso delle prove e, inaspettatamente, delle nostre vite: quello con Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna. Giuliano e Annalisa Bianchi per trent’anni si sono occupati di due attività principali: il controllo della popolazione dei piccioni e l’accoglienza di animali esotici o pericolosi. Si attiva così un ménage strano, marginale, meraviglioso: convivono in casa Bianchi babbuini, carcerati ex 41-bis in borsa lavoro, una famiglia rom ospite, boa constrictor. Trent’anni, come ci dicono Giuliano e Annalisa, di pura felicità».

Finché nel 2015 si avvicina il momento dell’apertura, proprio di fronte al loro giardino dei ciliegi, di un grande parco a tema agroalimentare e i Bianchi ricevono un avviso di sfratto. La magia del luogo – gli animali, le relazioni, gli affetti – cessa improvvisamente di esistere in una mattina di settembre. Una storia così lontana nel tempo e nello spazio da quella di Gaev e Ljuba eppure così simile nella sua essenza.

Nicola, Paola ed Enrico hanno trascorso molto tempo con i Bianchi, cercando di capire che cosa fosse successo e quale sia la loro posizione rispetto alla vicenda che li ha travolti e provando a innamorarsi senza perdere la lucidità. Dopo un lungo corteggiamento sono riusciti a convincerli ad andare in scena, a vestire i panni di Ljuba e Gaev e a raccontare, insieme agli attori, la storia dello sgombero e del loro incontro.

Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso vuole essere un’indagine su dove oggi si sia posata la dialettica tra illuminismo e magia, tra legge e natura, e su dove ci troviamo noi. Forse, più semplicemente, è la storia di un incontro,